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Nella recente narrativa della lotta alle mafie in Italia prevale ormai lo stile fantascientifico.

Dopo un secolo di storia di conflitti, di stragi senza colpevoli, di depistaggi e soprattutto di conflitti istituzionali, siamo arrivati alla fase dei fenomeni extra-terrestri.

La riscoperta della categoria mitologica dell’invisibilità (per fortuna da parte di pochi soggetti, in genere quelli più esposti mediaticamente) giustifica l’operato nel vuoto dei servitori dello stato che lavorano esclusivamente per garantirsi sempre nuovi appoggi (quasi sempre politici) per fare carriera. A parlare di mafie invisibili fu, in tempi non sospetti, Giovanni Falcone. Non certo per trovarsi un alibi per non contrastarle o per elaborare l’escamotage di un orizzonte criminale irraggiungibile; tantomeno per costruirsi il personaggio della vittima eroica, in una guerra contro il male in una realtà in cui tutti lo vorrebbero isolare.

Al contrario perché sapeva esattamente contro chi stava indagando e contro chi avrebbe agito. Invece oggi assistiamo a uno storytelling teologico in cui la parte più realistica appare come una sceneggiatura cinematografica felliniana. Il regista suggerisce le battute all’opinione pubblica che le ripete dentro un copione prefissato. Partecipano efficacemente al gioco giornalisti venduti ai servizi segreti o semplici giornalisti dilettanti che compensano la mancanza di un contratto dignitoso con i favori resi dal sistema di potere che li usa.

La stampa si presta così a predisporre l’opinione pubblica al clima giusto di caccia al mostro di cui le Istituzioni più corrotte hanno bisogno per completare l’opera. Il pubblico viene proprio trasformato in un vero personaggio all’interno di un copione prestabilito in cui si è progettato dall’inizio alla fine chi sono i colpevoli e chi dovranno risultare gli eroi. Il fine è ridurre la giustizia a una semplice questione di forza all’interno di una società ormai prevalentemente condizionata dalla disinformazione. Si tratta di un film che finisce come tutti i film!

Per dirla con una battuta di Woody Allen: “Come un orologio rotto che va dall’orologiaio per lamentarsi che è rotto e l’orologiaio gli dice: si! Sei rotto!”. Tutto questa non verità, questo mistero a buon mercato lascia dormire tranquillamente la gente comune che si vede raccontare la storiella già pronta senza avere necessità di dover pensare, approfondire, cercare.

La storia possiede tutti gli elementi che servono per il romanzo perché la sua forza non consiste nella verità o falsità dei contenuti ma nel potenziale enorme della sua suggestione, nella sua disinformazione.