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I morti meritano il silenzio dell’anima. Bisognerebbe mettere un divieto, o una tassa sulle parole, per evitare che si usino i loro nomi come distintivi; bisognerebbe evitare di depositare la retorica della giustizia sulle loro immagini, cosi come gli uccelli defecano sulle statue dei rivoluzionari e dei poeti.

I morti di mafia sono uomini, donne e bambini brutalmente uccisi da un assassino non sempre identificabile. Si parla sempre più spesso di “esecutori” e “mandanti” tralasciando che l’ordine è partito da settori contigui all’organizzazione mafiosa; da centri di potere che hanno permesso la sua longevità.

A sentire i “mafiologi” questo sarebbe il motivo per cui molte battaglie sono state vinte ma non la guerra; con buona pace per la più potente legislazione antimafia del mondo. La narrativa della lotta alle mafie spesso defeca parole vuote sulla testa dei morti; gli avvoltoi metropolitani che hanno il potere di gestire la parola rappresentano quella maggioranza che come cantava Fabrizio De Andrè “sta recitando un rosario di ambizioni meschine”.

Ovviamente ci sono anche le persone corrette; i giudici che veramente combattono le mafie portando avanti le indagini e non le conferenze stampa; gli operatori sociali, gli insegnanti, i giovani di una società civile che lavorano per la pace e la giustizia sociale; senza lo scudo dell’ ”anti” e del “contro”. Sono una minoranza.

Lo sono sempre stati perché il loro obiettivo è defecare sulla testa dei vivi; fare cadere il sipario delle apparenze e svelare con coraggio il pericolo del potere.

Facciamo come loro; lasciamo in pace i morti. Viviamo la nostra storia; se siamo in grado di farlo.