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Era vecchio, malato, alla fine dei suoi giorni; bisognava reggerlo dalla pettorina anche quando cercava il cibo nella ciotola.

Ma una fredda mattina di inverno, inscenò improvvisamente una specie di rituale di sopravvivenza correndo intorno a me al suo padrone per una manciata di minuti. Restammo ammutoliti, al centro del cerchio disegnato dalla sua corsa; ci dominava una sensazione cupa che non era paura, non era stupore, non era incredulità ma il sentimento lacerante di uno spettacolo che stava per finire.

Sentivo il mio sguardo fisso, come se quello che vedevo mi trafiggeva dentro inchiodando Whisky a me stesso. Il mio sguardo era cieco come il suo; come quello che abbiamo visto tante volte nelle foto dei condannati a morte; è l’immagine più chiara dell’irrompere del tempo quando quello che succede “ora” produce effetti senza ritorno.

Si tratta di un istante prima che sopraggiunga la morte: il tempo si dilata e ti concede la possibilità di danzare, portando via la tua anima. Whisky aveva trovato un vuoto nel tempo che stava per finire: aveva penetrato la quarta dimensione e stava già nel paradiso degli Husky.

Quando terminò la corsa si fermò a guardare il suo padrone per una manciata di secondi; era un regalo per lui, prima di ritornare a zoppicare ostinato verso la sua passeggiata quotidiana. Ho continuato a sognare questa scena per molto tempo. A un certo punto non riuscivo più a rendermi conto se fosse realmente accaduta o se fosse stata sempre e solo un sogno.

Infatti non è possibile vivere questa sensazione nella vita di ogni giorno senza restarne destabilizzati. Vivere la fragilità e la verità di ciò che sta dentro di noi è un esercizio scomodo e rischioso. Risveglia la leggerezza della morte che, sempre presente, s’insinua in ogni atto della vita, trasforma il valore dei fatti umani, cambia obiettivi e significati. In questo senso ho capito perché “Whisky continua a correre”. Perché ci sono azioni che diventano un mistero e superano il tempo.

Il gioco della vita ci riserva molti momenti in cui viviamo il sentimento della fine: quando muoiono i tuoi genitori o i tuoi amici più cari, quando perdi tutto quello che hai, come la gente in guerra o vittima delle persecuzioni, delle deportazioni, della violenza. É la fine della storia. Non ci sono più programmi, desideri, progetti, l’orizzonte della vita si è scontrato con un solido ignoto.

Quando arriviamo alla fine delle certezze e alla scoperta del vuoto si può fare tutto, perché in una terra sconosciuta non esiste nessun ostacolo oltre te stesso. La terra sconosciuta fa sempre paura quando appare nello scenario della vita quotidiana, popolato di certezze, punti di riferimento e progetti per il futuro.

La terra sconosciuta è inconciliabile con la società moderna che non tollera che il futuro sia frutto di piccole e concrete azioni individuali e preferisce i paesaggi seducenti creati da inesauribili bisogni da soddisfare. Nella terra sconosciuta puoi scegliere di restare in trappola con la tua storia e, avvinghiato a essa, finire il tuo tempo in quel dolore annichilente che accelera il sopraggiungere della fine.

Oppure, come nella corsa di Whisky abbandonarti a questa nuova realtà, lasciare che essa assuma vita propria, lasciarti trasportare nell’ignoto fino al punto da impazzire realmente o di andarci vicino. La paura si dilegua quando cambia lo scenario in cui si imbelletta, quando scompare lo specchio su cui si trucca sempre con sguardi sempre diversi. Tutto può diventare nuovo malgrado la nostra resistenza; tutto può diventare vero come una terra senza sentieri.

Il sentimento della fine sconfigge anche la paura perché non la sfida in una battaglia frontale. Ho ascoltato i racconti di molti deportati messicani, hondureñi, guatemaltechi, cacciati dagli Stati Uniti, separati dalla famiglia, dagli amici. Soli, senza più nessuno, né un parente né un amico, non hanno paura di affrontare un viaggio della speranza da cui sanno benissimo che hanno poche possibilità di uscire vivi. Nella migliore della ipotesi passeranno alcuni anni in un carcere americano per poi essere rimandati alla frontiera. Destino non diverso per tutti coloro che affrontano il viaggio in mare per approdare in Europa. Anche per loro la paura ha assunto un’altra forma.

Non è più un sentimento che ti blocca, che annulla le tue forze e la tua volontà; è la leggerezza della morte, un ritorno tragico in se stessi. Vivere la propria fragilità significa sentire e capire il mondo fuori di noi; significa donarsi senza egoismo. Se vogliamo amare questo mondo dobbiamo cominciare sempre da noi stessi; non chiedere mai nulla agli altri; cancellare l’ordine delle cose, le leggi e le conquiste di cui si vanta l’umanità ciarlona e ripartire da zero con il nostro deserto interiore. Lì ritroveremo tutto quello che abbiamo lasciato. Per questo Whisky continua a correre.