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La commemorazione non è il miglior modo di far vivere il passato. Nella maggior parte dei casi serve solo agli interessi particolari dei presenti. Banalizzando il passato in cerimonie di chiacchiere e distintivi, la commemorazione procura troppo spesso solo idoli da venerare.

A tumulazione avvenuta, gli idoli recano nomi di uomini coraggiosi, rappresentati come una maschera deforme che non può comunicare altro che la sua stessa deformità, non può più rispondere alle provocazioni della vita. Immaginate solo quanti morti celebri di mafia vorrebbero rispondere ai discorsi fatti su di loro… Sono i vivi invece che astutamente si adoperano per indossare le maschere tragiche della commemorazione: e così parlano ad un popolo di spettatori muti.

Spesso ci chiediamo come mai un cretino qualunque riesca a attrarre così tanto pubblico, grazie alla sua forte esposizione mediatica o ai suoi discorsi in Parlamento o a una serie di articoli sui giornali. Come mai lo spettatore resta muto o addirittura si affida anima e cuore a questa “fast truth”, una bella verità “cotta e mangiata”, comodissima perché non comporta alcun tipo di sforzo. Non è più il tempo in cui la verità costava la vita.

Oggi possiamo affidarci a un pacchetto di soluzioni che addirittura non comportano neanche la comprensione del messaggio. Perché ovviamente per capire bisognerebbe riconoscere innanzitutto che noi stessi siamo parte di questa umanità; nel bene e nel male.

La conoscenza è incompatibile con la logica della separazione: dobbiamo ammettere che siamo parte di questo male. Al contrario è sempre più facile giudicare che capire, separarci dagli altri (possibilmente gay, migranti, matti eccetera, eccetera) che minacciano la nostra misera esistenza.

Nel teatrino della “fast truth” per giudicare e non essere giudicati si cambia facilmente maschera secondo l’occasione del momento; i cantastorie e i pubblici ministeri si improvvisano storici; gli storici s’improvvisano statisti; gli statisti e gli economisti diventano i nuovi salvatori del mondo.

Per il Messìa non c’è posto da tempo. La verità è talmente trasparente da divenire eterna menzogna perché mentre la esponiamo nel mercato dei social, rappresenta già un passato senza conseguenze, uno spettacolo con il finale aperto.

La “fast truth” ci fa credere in tutto perché tutto è pornografia, esibizione fine a se stessa. Possiamo esercitare l’indignazione senza il rischio di avere crisi d’ansia, vedere i morti di Auschwitz o di Srebrenica come se non fossero esseri umani; dimenticarli come si dimenticano le formiche dopo averle schiacciate; trattarli come dicevano i loro carnefici, come ragni, formiche o pidocchi.

Ma anche in questa ipotesi non possiamo salvarci dalla peggiore fine.

Fintantoché non riusciremo a liberarci dello schiavo che vive dentro di noi, resteremo meno di ogni cosa. Meno di ragni, meno di formiche e meno, molto meno dei pidocchi.