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Il mondo è una bella prigione, diceva Shakespeare, sintetizzando, con poche parole, il rapporto complesso che passa fra la nostra aspirazione alla libertà e i limiti imposti dalla convivenza umana.
Il mondo che viviamo, e a cui sentiamo di appartenere, è il prodotto della nostra organizzazione della vita. Costruiamo e ordiniamo le nostre azioni sapendo che la vita è illusione; che nulla assume significato se non dentro un’esperienza condizionata da altri e da altro.

C’è la patria, ci sono le leggi, la morale condivisa, e i vari sistemi di potere che costruiscono la piccola prigione in cui possiamo muoverci.
Donarsi all’arte e alla vita spirituale possono essere un’opportunità per costruirsi un sogno dentro la prigione. Questo sogno non crea nulla e non distrugge nulla; la creatività non scopre alcuna verità, ci permette di spiccare un volo in picchiata verso il vuoto, di liberare le tensioni e le paure provocate da una società violenta.

Si inizia un percorso perché si deve cambiare, si tracciano sentieri per distruggerli dietro di sé. La consapevolezza che l’obiettivo è un orizzonte che si sposta man mano che ci avviciniamo, ci conduce alla costruzione di una mistica del cammino come i pellegrini ermetici di Santiago de Compostela.

Non basta un sogno per sopravvivere, serve anche uno spazio; anche l’eremita ha bisogno di un “luogo” che prima dialogava con l’indefinito e ora dialoga con la sua solitudine, con la sua necessità di scomparire dalla vita comune per poter riapparire con una profonda e continua trasformazione.Dobbiamo trovare uno spazio del sogno, una patria del pensiero.

II

Per costruire uno spazio di arte e di spirito occorrono muratori per i mattoni e operai per il sogno. Ho conosciuto molti luoghi simili in varie parti del mondo. Due, bellissimi, si trovano sul lago di Como.

Il laboratorio culturale dell’Associazione Politeama è stato costruito da Walter Orioli e Roberto Motta sulla collina di Colico, a due passi dalla Svizzera, con alcuni affacci mozzafiato sul Lago di Como e tante montagne incastonate all’orizzonte, come fossero la veduta prospettica di una scenografia teatrale. Colico è attraversata dal “sentiero del viandante”, denominazione assegnata a un antico percorso che univa Lecco all’inizio della Valtellina. Per questa strada passavano piccoli commercianti, pellegrini, militari.

Nel capitolo XXVIII dei Promessi Sposi, Manzoni racconta che questo sentiero fu percorso dai Lanzichenecchi: 28.000 uomini al servizio dell’imperatore Ferdinando II d’Asburgo, diretti, attraverso il Ducato di Milano, all’assedio di Mantova (durante la guerra dei trent’anni). I Lanzichenecchi erano soldati che godevano di una pessima fama, visto che al loro passaggio portavano distruzione. Oggi sono diventati niente più di un’immagine folkloristica. Infatti, dalle cronache di un giornale locale, lessi un giorno che il Museo della Cultura Contadina di Colico organizzava una rappresentazione storica itinerante con costumi d’epoca.

Alcuni scorci del centro di Villatico sarebbero stati allestiti a tema dalle varie associazioni per rivivere una pagina storica de “I Promessi Sposi” di A. Manzoni con il Conte di Fuentes, i soldati spagnoli e i terribili Lanzichenecchi. “Colico, i Lanzichenecchi fanno il pienone”, recitava l’articolo di un giornale on line. La memoria spesso fa questi strani scherzi: addolcisce il passato e proietta il male in una dimensione presente che si vuole combattere.

I cattivi oggi sono gli immigrati, non importa da dove arrivano e se sono perseguitati dai criminali. Secondo il senso comune sono appestati, criminali e invasori. Si legge in uno dei tanti siti xenofobi su internet:  Questi ridicoli individui, spalleggiati dai soliti cenci sporchi dei centri sociali con il cervello ormai fuso dalla droga, vorrebbero proibire la libera espressione delle idee, come se fossimo in un villaggio di capanne.

Noi chiediamo invece la rimozione di tutti gli abusivi dalle città italiane e l’espulsione dei clandestini.” Nel loro ruolo di “architetti del sogno”, Walter e Roberto hanno accolto la diversità umana in tutte le sue sfaccettature: migranti, studiosi di teatro, artisti di ogni parte del mondo, intellettuali, mistici e giovani studenti dello spettacolo. Difficile spiegare cosa sia successo in questi anni di attività, se le categorie di riferimento sono quelle della produzione di tecniche o di modelli artistici e culturali. Bisogna guardare agli effetti apparentemente più banali: ai modelli di comportamento, ai destini individuali, al sistema di resilienza di tutte le persone che hanno frequentato quello spazio. Sono queste le piccole miniere che hanno mantenuto in vita il sogno di Colico.

“Consideriamo i difetti e i conflitti umani come momenti necessari al raggiungimento dell’armonia”. Questa frase, posta sulla prima pagina di uno dei libri di Walter, è una bussola efficacissima per capire come stavano usando quello spazio di sogno: come una terra in cui niente appartiene a nessuno; come una terra in cui nessuno appartiene a niente.

La casa di Claudia: ossìa, come diventare bonsai.

Lo spazio del sogno ci fa capire che il Paradiso è qui tra di noi, proprio nel mezzo dell’inferno. Possiamo creare spazi di libertà nei ghetti delle città moderne, nei violenti ambienti familiari, negli alienanti luoghi di lavoro e nello spazio chiuso di una prigione. Riconoscendo il limite che abbiamo incorporato, possiamo liberarci dai conflitti.

Non sempre abbiamo una visione di questo limite. Secondo i Tartari il mondo finiva a Oriente. Il Tibet era l’Oriente assoluto. Anche per il cane del borgo di Villatico, frazione di Colico, abituato a vivere libero, il mondo finisce prima della strada che lascia il borgo. Oltre quel limite non si avventura. Varcare i limiti senza una visione del mondo che comprenda la propria rovina, la propria semplicità, la propria finitezza, rischia di diventare un’operazione devastante, un esperimento che travolge tutto ciò che incontra.

Non è un caso che con la teoria dello “spazio vitale” (il Lebensraum) caro a Karl Haushofer, Hitler ha trasformato la frontiera in una struttura viva con vocazione a spostarsi. L’uomo distruttore, senza confini, ha fatto esplodere le emergenze ambientali e le diseguaglianze, trovando recentemente un fronte di opposizione, una miriade di movimenti per la pace nel mondo e in Italia la proposta di una Costituente della terra, ideata dal giurista Luigi Ferrajoli.

Come resistere alla tentazione di violare i confini, di travalicare i limiti? La risposta non la troveremo nelle gesta di un eroe liberatore o di un maestro spirituale. Sotto la direzione di Annie Besant, la società Teosofica ha improntato la sua dottrina alla teoria del “Maestro atteso”, colui che sarebbe divenuto la guida dell’intero movimento, tracciando la strada della verità.
Il maestro designato, Ananda Krishnamurti, ha sviluppato una dottrina di superamento del rapporto maestro-discepolo. Per raggiungere l’illuminazione bisogna convincersi che non esistono maestri al di fuori di se stessi.

Lui stesso si definì un istruttore temporaneo. Occorre agire liberi dai pregiudizi, dall’ideologia, dalla fede, dalla religione, dalle paure; diventare più piccoli del mondo che ci circonda; creare spazio tra noi e il mondo, divenire come un bonsai. Viviamo in una terra che non ci contiene, dove il nostro compito è dipingere con gli occhi ciò che vedranno gli altri, e che noi non potremo vivere.

Lo spazio non ci contiene.

Anche l’altro spazio del sogno che ho visitato è fatto di confini precisi. Percorro una delle tante strade che anellano le colline del lago di Como per giungere in cima a una collina dove scorgo una casetta di legno e pietra. Dietro il cancello della casa di Claudia c’è Odelle, una cagnetta che con il suo abbaiare mi avverte che, da lì in poi, c’è un mondo da difendere.

L’abbàio un tempo era considerato un valore, oggi è diventato uno dei problemi più lamentati dai conviventi umani. I cani parlano, come tutti gli animali e la natura che ci circonda. Siamo noi che abbiamo progressivamente perso la capacità di capirli e, di conseguenza, di capire il nostro prossimo.

Claudia è una persona brillante: genialità cristallizzata in idee, racconti, disegni, progetti. L’ho incontrata per caso, incrociando la comune simpatia per i numeri e la filosofia. “Vieni a vedere casa mia”, mi ha detto con uno sguardo illuminato che mi ha subito incantato. La visita è stata divertente, come salire per la prima volta in una giostra colorata, quando ti lasci trasportare dall’ebbrezza delle sensazioni che scorrono davanti ai tuoi occhi e si trasformano in suoni, colori e brividi.

La casa di Claudia è bellissima. È stata costruita con l’amore e la passione condivisi con suo marito Beppe, un uomo con lo sguardo di un bambino felice. Beppe non smette mai di costruire e progettare; usa la pietra della montagna della Valchiavenna che sovrasta il lago, realizza piccoli miracoli di ingegneria affinché lo spazio rimanga in armonia con la natura; trasforma il vuoto intorno alla casa in un grande giardino terrazzato dove ogni oggetto ha un simbolo o una funzione: “Questa grande pietra sono riuscito a spostarla fino a qui”, mi dice divertito, facendomi pensare che in un attimo aveva trasformato il mito di Sisifo in un gioco divertente.

Forse dovremmo tutti pensare così: affrontare quelle sfide impossibili, senza le quali la vita è priva di senso, per poi trasformarle in una fase della nostra vita. Se riusciamo a sopravvivere a queste piccole prove avremo lasciato un esempio e un progetto per il futuro. Con il pretesto della visita della casa, Claudia mi attira in una specie di gioco per bambini. È il mondo in cui lei comunica meglio, dove si sente in armonia con se stessa e con gli altri.

Parla così velocemente che mi risulta impossibile ascoltare tutto senza perdere di vista i tanti oggetti che richiamano la mia attenzione; mentre parla saltella da una stanza all’altra: sale le scale, apre le porte, prepara il caffè, taglia la torta si affaccia al balcone. Io e Odelle le stiamo dietro a fatica. Poi, improvvisamente, infilza il mio sguardo mostrandomi il dettaglio di un quadro, il particolare dell’armadio recuperato con mezzi fortuna, il disegno di un porcospino e gli oggetti reinventati che trasmettono una magia di altri tempi.
Immagini nitide e semplici, echi di altre immagini che si stampano nella mia mente come fossili di cui non si riesce a indovinare la forma completa.

Quello spazio di sogno è rimasto impresso nella mia mente con un insieme di oggetti e sensazioni di altri tempi: una scala fatta con il legno comprato in Polonia, i libri per bambini, l’odore dell’albero di canfora e la voce tremolante di Claudia. Chissà perché, a tratti, la sua voce trema…evoca in me un’improvvisa malinconia, come se fosse il suono provocato dalle cime di ormeggio delle barche, durante una notte ventosa.

Tutto diventa piccolo e magico; io, Beppe, Claudia e Odelle siamo piccole foglie di un bonsai meraviglioso. Nulla è scomparso; sento che l’inferno è sempre qui tra di noi, anche nel posto più bello e felice del mondo, perché noi siamo inferno, agitati da un tempo indefinito che si chiama vita. Riappaiono i pericoli della mia mente limitata che non trova vie di fuga.
Mi salva il ricordo degli occhi interroganti di Odelle che nel frattempo ha ripreso ad abbaiare, per avvertirci che è rimasta chiusa fuori, nel balcone.